Castello e Torri

La storia del Castello di Belvedere Marittimo in sintesi

tratta dal libro “Il Castello di Belvedere Marittimo, guida storica e architettonica” di Francesco Liporace

Il Castello di Belvedere Marittimo (CS), così come si presenta oggi ai nostri occhi, risale alla fine del secolo XV°, quando venne ampliato e fortificato dagli aragonesi. Sull’ingresso del ponte levatoio, infatti, possiamo leggere la seguente iscrizione, incisa su una lastra di pietra:

In realtà, l’iscrizione della foto precedente, è frutto di una recente elaborazione grafica del 2005 perche’ quella che attualmente è ancora oggi osservabile, che riportiamo sotto, è stata mutilata a colpi di scalpello nell’800 dall’ex principe Carafa, così come sostiene lo storico locale Vincenzo Nocito in “Memorie e studi sulla città di Belvedere Marittimo, denominata Blanda dagli antichi”, 1950.

L’ordine di ricostruire e rinforzare alcuni castelli dell’Italia meridionale, tra cui quello di Belvedere, venne impartito fin dal 1480, ma solo nel 1489 il Castello fu visitato, per fare il punto della situazione, dall’architetto fiorentino Antonio Marchesi da Settignano e da Alfonso duca di Calabria.

La progettazione e la direzione dei lavori di restauro del Castello di Belvedere, viene attribuita anche al noto architetto senese Francesco di Giorgio Martini, molto richiesto per le costruzioni militari dell’epoca, ma il suo coinvolgimento sembra sia poco probabile.

Sull’iscrizione e sui lavori di ristrutturazione abbiamo due testimonianze storicamente importanti.

La prima è del 1631, “Antichità e sito della città di Belvedere”, un’opera manoscritta di Giuseppe Petrellis:

“Nell’anno 1490= il Rè sunnominato fe’ rinnovare e magnificare il nostro castello, riducendolo nella forma che oggi si vede, a spese però de’ cittadini, dove fe’ sopra la porta mettere l’arme sue con dichiarazione di tutto questo, situando in detto castello 25= soldati di presidio”.

La seconda è ancora più interessante perché si tratta di una richiesta inviata nel 1492 al re Ferdinando dai cittadini belvederesi:

“Item supplica la prefata Maiesta Considerato lo edifitio del Castello se fa in dicta terra per lo quale sonno state ruynate multe Case et la dicta terra paga per le fabriche deli Castelle tari tre per foco: et anco andano ad cavare li fossi ad comandamento de dicto Castello senza pagamento se digne Vostra Majesta actento loro poverta farli gratia et exempti de dicto pagamento secundo meglio parera et piacera ad Vostra Majesta, Regia Majestas cito providebit oportune et taliter quod providebitur petitioni eorundem”.

Nel libro dal quale è tratta questa sintesi, è stato anche fatto un tentativo di ricostruzione virtuale del Castello che lo raffigura così come, molto probabilmente, si presentava subito dopo il restauro aragonese e si sono ricostruite, con un sufficiente grado di attendibilità, anche le mura del fossato che lo circondavano.

Ricostruzione del Castello, lato sud-est (elaborazione grafica di R. Liporace)

Ricostruzione del Castello, lato sud-ovest (elaborazione grafica di R. Liporace)

Ricostruzione del castello con le mura del fossato, ipotesi 2 (elaborazione grafica di R. Liporace)

Il Castello di Belvedere, dunque, alla fine del XV° secolo era strutturalmente inadeguato a fronteggiare le nuove tecniche di combattimento e gli attacchi con le bombarde, che erano già militarmente molto utilizzate, e aveva bisogno di essere maggiormente rafforzato e, nello stesso tempo, ingrandito.

Purtroppo non abbiamo documenti che lo riproducono o descrivono com’era prima di questo intervento aragonese, ma possiamo dedurre, sia dall’iscrizione in pietra sia dalla richiesta dei cittadini al re, che il Castello era, sostanzialmente, quello normanno-svevo, restaurato e modificato nel XIII° secolo dagli angioini.

Era, in pratica, la fortezza che aveva resistito all’assedio di Giacomo d’Aragona del 1289.

All’epoca, le due torri, probabilmente, erano più alte ma più esili, le feritoie erano quelle a croce utilizzate per scagliare frecce con le balestre, non c’era il rivellino, il fossato si estendeva su un’area inferiore, il ponte levatoio aveva necessità di essere consolidato o ricostruito ex novo. Nulla possiamo dire, invece, sull’interno delle torri, né su come era strutturato nell’area interna, in quanto negli ultimi 40 anni non è mai stato possibile visitarlo interamente ed oggi è completamente invaso da alberi e vegetazione nata spontaneamente.

Anche se non abbiamo notizie dirette su quando il Castello di Belvedere sia stato costruito (c’è anche chi sostiene che un punto fortificato fosse presente anche in epoca romana), da alcuni documenti storici possiamo dedurre che esisteva già in epoca longobarda e poi anche nel periodo normanno.

Sappiamo con certezza, infatti, che nell’anno 1046 circa, il Castello fu incendiato e raso al suolo durante l’assedio del normanno Drogone d’Altavilla, chiamato in aiuto dal principe di Salerno Guaimario IV per combattere contro un certo Guglielmo Barbote, che era, probabilmente, un mercenario al servizio di Pandolfo IV, principe di Capua. Il Barbote aveva occupato il Castello di Belvedere e da lì faceva scorrerie nei territori circostanti. Drogone d’Altavilla, in effetti, non riuscì a conquistare il Castello con le armi, però con uno stratagemma riuscirono ad entrare al suo interno e ad incendiarlo.

Questo episodio, che si trova in una trascrizione postuma dell’opera “Storia dei Normanni” di Amato di Montecassino (1010 ca.-1090 ca.) [nella foto sopra una sua edizione recente], mette in luce che Belvedere aveva il suo castello già in quel periodo e, soprattutto, che fu Ruggiero il Normanno a ricostruirlo nel secolo XI, così come sostenuto da Emilio Barillaro in “Calabria, guida artistica e archeologica” del 1972.

Per avere qualche notizia storica successiva, dobbiamo aspettare quasi due secoli, quando il Castello venne assediato dal re di Sicilia Giacomo d’Aragona. Un episodio, quello dell’assedio, narrato da tanti autori, tra i quali citiamo Giovanni Amellino (sec. XIX), cittadino belvederese, e due storici vissuti proprio negli anni in cui si svolsero i fatti: Bartolomeo di Neocastro (sec. XIII) e Niccolò Speciale (sec. XIII), la cui testimonianza, dal punto di visto storico, è doppiamente importante: si tratta di due storici che, come appena detto, vissero negli anni dell’assedio e, soprattutto, che erano al servizio degli aragonesi.

L’assedio avvenne nel 1289, ad opera di Giacomo d’Aragona che, in lotta contro gli angioini, dalla Sicilia sbarcò in Calabria. Quando giunse a Belvedere, a quel tempo in possesso di Ruggero di Sangineto, fedele agli angioini, incontrò una resistenza che non si aspettava e dopo qualche giorno di assedio, non riuscendo a conquistare il Castello, ben posizionato e fortificato, decise di mettere in difficoltà gli assediati facendo costruire due impalcature sulle quali furono legati due figli di Ruggero che erano nelle mani del re aragonese, come ostaggi. Nemmeno questo drammatico stratagemma riuscì a convincere alla resa gli angioini. Uno dei due figli di Ruggero, però, durante la battaglia morì o perché colpito da una freccia lanciata dal castello oppure, più verosimilmente, come raccontano i due storici contemporanei, perché la furia del vento e della tempesta che si era scatenata, buttò giù le due impalcature e “…Cadde il fanciullo su’ chiodi e sulle punte di quello (si riferisce all’impalcatura di legno), e uno più acuto entratogli per le tempie e passatele a parte a parte… l’ebbe ucciso”.

A causa della tempesta, che stava mettendo in pericolo la sua flotta, il re dovette abbandonare l’impresa e prima di togliere l’assedio, restituì a Ruggero sia il figlio morto che l’altro ancora in vita.

La storia, dopo questo evento, non ci fornisce nessuna ulteriore notizia di rilievo, se non, come già detto all’inizio, l’opera di ristrutturazione del Castello del 1490.

Le Torri di avvistamento

Torre detta di “Paolo Emilio”

Torre detta “del Tirone”

Nei secoli XVI e XVII le zone costiere della Calabria si popolarono di Torri, il cui compito fondamentale era quello di segnalazione e di difesa contro le incursioni piratesche che provenivano dal mare, molto frequenti in quel periodo. Tale sistema di difesa, consisteva in una serie di Torri, poste a distanza tale da essere ben visibili l’una dall’altra, ognuna delle quali aveva la funzione di segnalare ai centri abitati e alle Torri vicine (di giorno col fumo e di notte col fuoco), il pericolo costituito dall’avvistamento di pirati, in modo che in breve tempo la zona interessata fosse messa in stato d’allarme. Altra funzione delle Torri era quella di ospitare al loro interno, in caso di necessità, tutti quanti si trovassero nelle immediate vicinanze e di impedire gli sbarchi dei pirati.

Lo storico Giovanni Fiore (Cropani 1622-1683), riferisce che il primo a consigliare il sistema difensivo delle Torri fu D. Fabrizio Pignatelli, primo marchese di Cerchiara, nel 1550 circa, “..non tanto per una momentanea difesa, quanto perché l’una, qual prima scorgesse il pericolo, col fuoco, dimostrandolo all’altre, in meno di poche ore ne venisse avvisato tutto il Regno“.

A Belvedere furono costruite quattro Torri, così denominate: Torre di Paolo Emilio, Torrione, del Tirone e di Santa Litterata.

Recentemente (anno 2007) con la pubblicazione del libro “Belloviderii” di Cono Aurugio, è stata introdotta una quinta torre detta “Torre de Paula oggi Mistorni” in contrada Fontanelle, costruita nel 1610. Questa torre nel corso degli anni ha subito alcuni ampliamenti per motivi abitativi.

Anche per le torri, comunque, sarà necessario prima o poi fare maggiore chiarezza. Noi qui ci uniformeremo, tranne che per la Torre del Tirone, come vedremo più avanti, alle notizie “tradizionali”.

Iniziamo con la Torre di Paolo Emilio, i cui ruderi si trovano in contrada Rocca (vedi foto), che è di origine incerta. Si ritiene, secondo una prima ipotesi (V. Nocito), che sia di epoca romana e che il nome derivi da Paolo Emilio detto il Vecchio, vissuto all’epoca di Fabio Massimo che espugnò Blanda nel 213 a.C.. Secondo questa ipotesi la Torre sarebbe stata costruita per premunire i blandesi contro Annibale e per servire come luogo di vedetta e di sortita quando il bisogno lo richiedeva. L’altra ipotesi (G. Grisolia, C. Aurugio) è che sia stata costruita tra i secoli XVI e XVII come Torre di avvistamento e di segnalazione a vantaggio della popolazione dell’entroterra. Secondo questa ipotesi il nome deriverebbe da Paolo Emilio Imperatore, cittadino belvederese, vissuto nella prima metà del 1600, nel cui fondo la Torre fu costruita.

E’ antica tradizione che dal castello alla Torre vi fosse un passaggio sotterraneo, ma il sotterraneo che esiste oggi nel castello arriva fin sotto la strada detta “le Scale” (secondo quanto riferisce lo storico locale Vincenzo Nocito).

Pure di epoca romana si ritiene fosse la torre detta Torrione, costruita in contrada Olivella. Anche per questa torre, però, vi è una seconda tesi, quella del secolo XIII-XIV introdotta dal libro, già citato, di Cono Araugio.

Del secolo XVI (forse 1566) è la torre detta del Tirone (vedi foto, tratta da “www.arte.26.it”) che si troverebbe in Marina di Belvedere e precisamente in piazza Marina o piazza G. Grossi, che è a base quadrata e che oggi è adibita ad abitazione. Utilizziamo il condizionale perché questa ubicazione, tradizionalmente accettata fino ad oggi, secondo noi non è esatta. G. Petrellis, infatti, che scrive nel 1631, quando parla dello scoglio maggiore detto del Tirone, dice: “…il quale sta sotto la regal Torre…”. Questa notizia esclude categoricamente che la Torre di piazza G. Grossi possa essere quella che nei documenti storici viene denominata del Tirone, perché lo scoglio del Tirone non può certamente considerarsi posizionato sotto di essa.

Il Petrellis è chiaro: nel 1631 esisteva una Torre, che lui chiama “regal Torre” forse per la sua bellezza o per la sua maestosità o per il suo utilizzo, posizionata in alto rispetto allo scoglio del Tirone e questo significa che noi oggi chiamiamo erroneamente “Torre del Tirone” la Torre ubicata in piazza G. Grossi.

La notizia di G. Petrellis, che è verità storica in quanto riportata da testimone oculare, esclude l’ubicazione tradizionale di questa Torre, grazie anche a due semplici osservazioni.

La prima: perché dovrebbe chiamarsi “del Tirone” una Torre che dista oltre 600 metri dal luogo omonimo?

La seconda: è verosimile che una Torre, il cui scopo principale era quello di avvistare le navi dei pirati, poteva trovarsi così all’interno e posizionata quasi allo stesso livello del mare? Con quale altra Torre avrebbe potuto essere in comunicazione visiva se escludiamo l’esistenza di una Torre nei pressi di Capo Tirone?

Alla luce di queste osservazioni e della notizia del Petrellis, possiamo sostenere, quasi con certezza, che la Torre denominata “del Tirone” nei documenti storici, era ubicata o nei pressi di palazzo De Novellis o nella vicina villetta comunale di Capo Tirone, così come mostrato nella foto.

Della stessa epoca è la Torre di Santa Litterata, che venne diroccata nel 1893 per impiegarne i materiali nella costruzione di opere dell’attigua linea ferroviaria ( messa in azione nel 1895). C. Araugio per la sua costruzione ha una data precisa: 16 giugno 1583. Questa torre era inclusa tra le torri che nel 1741 avevano bisogno di un nuovo intervento di restauro. Era a più piani e di forma rettangolare, alta parecchi metri e con arcate ogivali.