La storia

Sulle origini di Belvedere Marittimo (CS) centro storico, non abbiamo notizie certe né siamo in possesso di documenti o reperti archeologici che ci aiutano a risalire ad una data o un secolo ben definito in cui collocare la sua fondazione.

Possiamo solo fare delle ipotesi basandoci su quanto è avvenuto in altri centri abitati della costa calabrese e, principalmente, sulle testimonianze storico-architettoniche che ancora oggi sono a nostra disposizione.

Il periodo che va dall’VIII al X secolo (d.C.) è quello che sembra più probabile per collocarvi le sue origini. E’ in questo periodo, infatti, che gli abitanti degli antichi centri costieri (vedere più avanti il legame con l’antica città costiera Blanda) cominciano ad abbandonare le proprie abitazioni per spostarsi in luoghi più interni al fine di assicurarsi una più agevole difesa contro gli attacchi dei Saraceni, provenienti essenzialmente dal nord Africa. Le incursioni dei pirati Saraceni sulle coste e persino nell’entroterra della Calabria, dureranno circa due secoli specialmente dopo la conquista araba della Sicilia iniziata nell’827. Reggio Calabria viene saccheggiata, la prima volta, nel 901 e Cosenza, per fare un altro importante esempio, viene conquistata nel 998 e poi nel 1009.

Per un quadro storico generale sulla Calabria CLICCA QUI.

Belvedere sorge su una collina tra i 150 (il punto più basso) e i 205 metri circa (il punto più alto) sul livello del mare dal quale dista, in linea d’area, circa 700 metri. Si estende su un territorio di Kmq 37,22 in cui si elevano i monti MONTEA (alto m 1785) e MONTE LA CACCIA (m 1744) e dal quale sorge il fiume SOLEO.

A partire dal 1600 viene aggiunto l’appellativo “marittimo” per distinguerla dall’omonimo centro in provincia di Crotone: è così indicata, infatti, da Girolamo Marafioti nel suo libro “Croniche et antichità di Calabria” pubblicato nel 1601 (“…Fra Daniello ministro di questa Provincia cittadino di Belvedere marittimo….”, libro IV, pag.284). Il nome Belvedere Marittimo, tuttavia, a quell’epoca, non doveva essere comunemente usato: Giuseppe Petrellis, che scrive nel 1631 (vedi Bibliografia a fine pagina), la chiama semplicemente Belvedere.

L’ipotesi iniziale sulla datazione delle sue origini, comunque, è ben supportata da dati storici e architettonici, tra i quali il più importante è l’anno 1091 (CLICCA QUI per approfondimenti su questa data) scolpito su una pietra ovale posta sul portale della chiesa di Maria SS. del Rosario. Vi è poi l’antico Castello, forse presente già in epoca longobarda e comunque sicuramente nel secolo XI quando fu attaccato e arso dal normanno Dragone d’Altavilla, il dato storico che Belvedere è cinta di mura quando nel 1289 viene assediata dal re di Sicilia Giacomo d’Aragona, le due relazioni su frate Daniele Fasanella: la prima del dicembre 1226 (“….F. Daniel Fasanelli de Belviderio…”), l’altra del 27 ottobre 1227 (“….Daniel ex oppido Belvederii…”).

La tradizione vuole che Belvedere derivi da Blanda, città costiera fondata dagli Ausoni (1), posseduta dagli Enotri (2) e, dopo la guerra troiana (1180 a.C. circa), dai Focesi. Tale tradizione è fortemente avvalorata da quanto hanno scritto i primi storici della Calabria, come Gabriele Barrio (sec. XVI), Girolamo Marafioti (sec.XVII) ed Elia De Amato (sec.XVIII). Gabriele Barrio, ad esempio, nella sua famosa opera del 1571 “De Antiquitate et situ Calabriae”, così scrive: “Ad mare Blanda oppidum est edito loco, ab aere blando salubrique dictum: Bellividarium vulgus vocat…” [“Sul mare sorge Blanda, su un luogo alto, detta dall’aria blanda e dolce: il volgo la chiama Belvedere…”]; Girolamo Marafioti, nella sua “Croniche et antichità di Calabria” del 1601, scrive quanto segue: “Lontano da Bonifate per ispazio quasi di quattro miglia in circa occorre all’affacciata del mare l’antico castello Blanda hoggi chiamato Belvedere…”.

Tuttavia intorno all’ubicazione di Blanda, sono sorte numerose ipotesi tra i vari scrittori di storia locale; infatti Blanda, oltre che nella marina di Belvedere, viene collocata in diversi altri comuni. A causare tali discordanze, pare siano stati due autorevoli scrittori latini: Tito Livio e Plinio il Vecchio che collocano Blanda, rispettivamente, nella Lucania e nel Bruzio.

Di Blanda, comunque, sappiamo pochissimo: è in potere dei Cartaginesi e nel 213 a.C. viene espugnata dal console romano Fabio Massimo; è sede vescovile e nel 649 il suo vescovo, Pasquale, prende parte al sinodo tenuto da papa Martino I; è indicata nella via litoranea che attraversa la Lucania e il Bruzio e giunge fino a Reggio Calabria. Nulla sappiamo se e come è stata distrutta.

Un’ipotesi “fantasiosa” sulla fondazione di Blanda, ce la dà Giuseppe Petrellis nella sua opera già citata: “L’anno 131 dopo il diluvio, Gomero [figlio di Jafet, figlio di Noè] edificò la città di Blanda oggi detta Belvedere, che sono anni 4457 fino ad oggi che corre l’anno 1631”. Blanda, continua il Petrellis, “fù edificata al lido del mare, un miglio distante dal luogo ove oggi si trova”, nei luoghi detti Cotura e Porto [che corrispondono alla zona oggi chiamata Capo Tirone].

Ipotesi più recenti (ma prive di fondamento storico-archeologico) individuano in Belvedere la scomparsa città di Skydros, sub-colonia tirrenica fondata nel VI sec. a.C. dai colonizzatori delle coste ioniche calabresi e in particolare dai sibariti, che nello stesso periodo fondano anche la città di Laos. L’espansione sulla sponda opposta si rende necessaria per controllare anche i traffici commerciali tra la Grecia ed il Tirreno e soprattutto tra le stesse colonie delle coste ioniche con i paesi campani ed etruschi, essendo più breve e meno pericoloso il tragitto via terra tra una sponda e l’altra (circa 2 giorni) di quello per mare (circa 7 giorni).

Per Skydros abbiamo meno notizie di Blanda il che significa praticamente nulla.

Si può ipotizzare che anche Skydros, come avviene per Laos, è scelta come meta dagli esuli della distrutta Sibari (510 a.C.) e che quasi certamente viene occupata dai Lucani nel 390 a.C., anno in cui presso il fiume Lao i Lucani sconfiggono definitivamente la lega Taranto-Thurioi (la “nuova” Sibari) che è venuta in soccorso delle città greche della costa tirrenica.

Dicevamo che l’ipotesi che Belvedere possa essere identificata con l’antica Skydros è priva di fondamento storico-archeologico. E’ un’ipotesi molto fantasiosa, probabilmente abbracciata solo per il fascino di novità, così come, per esempio, è accaduto, in passato, per San Daniele Fasanella, il santo di Belvedere voluto originario di altre parti d’Italia.

Ipotesi filosofiche, dunque, di fine XX secolo?. Probabilmente sì se non vi sono documenti storici attendibili, anteriori almeno al XVI secolo e, soprattutto, prove archeologiche concrete. Fino a quando ciò non avverrà continueremo a sostenere l’antichissima tesi di Blanda che, pur con tantissime perplessità, ci è stata tramandata da tutta una letteratura che in queste pagine è ampiamente citata.

Per un approfondimento su Blanda CLICCA QUI.

Un’altra questione importante, è quella dei ritrovamenti archeologici, avvenuti nel territorio belvederese; il prof. Giovanni Amellino (Belvedere 1864-Napoli 1919) ci descrive minuziosamente tre ritrovamenti archeologici (un Paalstab dei primi albori dell’età del bronzo, un oggetto in bronzo dalla forma triangolare, due sepolcreti di cui uno dell’età preistorica e uno risalente alle prime immigrazioni degli italo-greci in Calabria) avvenuti, tra il 1886 e il 1890, presso il fiume Soleo e giunge alla conclusione che “…una popolazione preistorica visse nella contrada di Belvedere Marittimo e vi dimorò lunghissimo tempo”.

Ritrovamenti di epoca greca e romana, invece, si ebbero in Marina di Belvedere dove, in tempi successivi, vennero alla luce monete, statuette di finissimo marmo, anfore e alcune tombe, queste ultime risalenti al IV secolo a.C.. In particolare nel 1956 in località Capo Tirone nelle fondazioni della nuova chiesa (l’attuale chiesa della Madonna di Pompei) si sono trovati due vasetti Oenochoai e un Lekythos ariballica, appartenenti a sepolcri precedentemente sconvolti d’epoca ellenistico-romana.

Recentemente (anno 2005) è stato pubblicato a cura dell’amministrazione comunale locale un interessantissimo opuscolo dal titolo “Itinerari archeologici” (foto O. Sparano, testi P. Mollo e R. Ugolino, stampa Rubbettino) che fa il punto – in maniera purtroppo sintetica – sulle località di interesse archeologico e sui reperti archeologici ritrovati nel territorio belvederese. CLICCA QUI per saperne di più.

Nel secolo XI, dicevamo all’inizio, Belvedere ha già il suo luogo di culto cristiano e il castello; siamo in piena dominazione normanna che, vale la pena di ricordare, porta in Calabria il feudalesimo e, per circa un secolo, pace e prosperità, dopo secoli di devastazioni e saccheggi. Ai normanni seguono, tra la fine del XII e la prima metà del XIII secolo, gli Svevi con Federico II. Anche sotto gli Svevi la Calabria conosce un periodo di relativa tranquillità.

E’ in questi anni che nasce a Belvedere il martire francescano Daniele Fasanella decapitato a Ceuta il 13 ottobre del 1227 e canonizzato da papa Leone X nel 1516 (CLICCA QUI per consultare la pagina dedicata al Santo).

L’anno 1266 porta in Calabria la dominazione francese di casa d’Angiò, con Carlo I d’Angiò, il quale prosegue nella politica di legare a sè le famiglie feudali più importanti: conte di Belvedere è, nel 1269, il francese Giovanni di Montfort, a cui segue il fratello Simone, detto di Bellovedere; poi il feudo passa alla famiglia dei Sangineto. Nel 1282 scoppiano i Vespri Siciliani che segnano l’inizio delle ostilità tra i francesi d’Angiò e gli spagnoli d’Aragona, per il possesso del regno delle Due Sicilie. Nell’ambito di questa lunga ed estenuante guerra, è da segnalare l’episodio più importante della storia di Belvedere, di cui sia rimasta traccia: l’assedio del castello da parte di Giacomo d’Aragona, avvenuto nel 1289. Tale episodio è splendidamente narrato da Giovanni Amellino in un breve opuscolo ricavato da una conferenza da lui tenuta nella sede del circolo calabrese di Napoli il 12 giugno 1892.

“Era il 1289… Carlo II d’Angiò era stato accolto festosamente in Rieti e incoronato re di Napoli e di Sicilia”. Giacomo d’Aragona, succeduto nel 1285 al re Pietro III, muove contro il rivale e il 15 aprile del 1289 sbarca in Calabria, fermamente deciso ad occupare Napoli. Forte di molti successi ottenuti risalendo la Calabria, re Giacomo si appresta ad espugnare anche il castello di Belvedere..

Nel primo attacco al castello (siamo nel giugno del 1289) “disperata, accanita è la lotta tra assedianti ed assediati: volan sassi e quadrella, cozzano spade, elmi e corazze, si rovescia sui soldati del re acqua ed olio bollenti…Vinse alfine il valore degli assediati”. Nel secondo attacco al castello, i due figli di Ruggero di Sangineto (principe di Belvedere), fatti prigionieri dagli aragonesi durante gli scontri precedenti, vengono posti in mezzo alle macchine da guerra per indurre gli assediati alla resa, ma Ruggero ed i suoi uomini si difendono ugualmente e “…la vittoria arrise altra volta all’eroe”. Uno dei due figli di Ruggero muore, colpito dai dardi e dalle pietre lanciate dal castello. Al re Giacomo “…troppo gli parea l’indugio nell’espugnare un castello così disperatamente difeso…deliberò pertanto levare l’assedio e partirsi prestamente”. Prima di abbandonare la terra di Belvedere, egli vuole manifestare la propria ammirazione per la grande prova di eroismo del Sangineto e “…fatti sciogliere i due giovanetti, mandò a Ruggero il figliuol vivo e il cadavere dell’altro su ricca bara avvolto in ricchissimi drappi d’oro e di seta. Il dì seguente…toglieva l’assedio”.

Gli angioini premiano l’eroismo di Ruggero nominandolo, nel 1313, ministro di giurisdizione suprema in Calabria.

Fino al 1376 Belvedere continua ad essere posseduta dai Sangineto, ai quali seguono le famiglie Sanseverino, Orsini-Del Balzo e Citrario fino al 1426, poi ritornano i Sanseverino.

Nel 1442 il regno di Napoli viene conquistato dagli Aragonesi, ma le ostilità tra i feudatari e il re Ferdinando I continuano, fino a quando il 12 giugno 1487, dopo la fallita congiura dei baroni calabresi dell’anno precedente, molti feudi vengono confiscati e messi in vendita: tra questi vi è anche il feudo di Belvedere che appartiene a Gerolamo Sanseverino. Oltre alla confisca e alla vendita dei beni del feudatario, il re aragonese ordina la ristrutturazione del castello.

N.B.: per notizie più dettagliate e complete, visitare la pagina dedicata al castello (VAI ALLA PAGINA dedicata al Castello).

Siamo nel 1490, il castello è ormai divenuto “…una fortezza inadeguata a fronteggiare le nuove tecniche di assalto e i mezzi di attacco col fuoco…”, così come ancora oggi è possibile leggere nella iscrizione posta sulla porta principale dell’edificio:

“FERDINANDS REX DIVI ALFONSI FILIUS DIVI

FERD   NEP   ARAGONIUS   ARCEM  HANC IN

FIRMAM    CONTRA    NOVA    OPPUGNATION

GENERA   ETTORMENTA  IGNEO  SPIRITU CI

CTA:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::INFIDE CIVES

EXPE(C?):::::::::::::::::::::::::::::INAMPLIOREM

::::::::MIOREM    QUE    FORMAM   RESTITUIT.

(A)NO       D   M   C   C   C   C    L   X   X   X   X”

(traduzione: “Il Re Ferdinando Aragonese figlio del glorioso Alfonso nipote del glorioso Ferdinando ridiede una forma più ampia e……miorem a questa fortezza inadeguata a fronteggiare le nuove tecniche di assalto e i mezzi di attacco col fuoco (ci?)cta…….in fide cives expe(c?)……

Anno del Signore 1490)

“E qui bisogna avvertire…”, sostiene lo storico locale Vincenzo Nocito nella sua opera su Belvedere del 1950,”…che l’iscrizione suddetta trovasi ad arte mutilata poiché l’ex principe di Belvedere, Carafa, pretendendo che il castello fosse sua proprietà come palazzo baronale, fece togliere a colpi di scalpello le parole che accennavano l’essere stato quell’edifizio rinnovato e magnificato a spese dei cittadini”.

Anche Giuseppe Petrellis nel suo manoscritto del 1631 annota: “Nello anno 1490= il re Ferdinando fe’ rinnovare e magnificare il nostro Castello, riducendolo nella forma che oggi si vede, a spese però de’ cittadini, dove fe’ sopra la porta mettere l’arme sue con dichiarazione di tutto questo, situando in detto castello 25= soldati di presidio”.

Molto suggestiva è la lettera – che lo storico Giuseppe Grisolia riporta nella sua opera “Belvedere Marittimo” del 1980 – inviata nel 1492 dai cittadini di Belvedere a re Ferdinando: “considerato lo edifitio del Castello se fa in dicta terra per lo quale sono state ruynate multe Case et la dicta terra paga per le fabriche deli Castelle tari tre per foco: et anche andano ad cavare li fossi ad comandamento de dicto Castello senza pagamento, se digne Vostra Majesta actento loro poverta farli gratia et exempti de dicto pagamento secundo meglio pareva et piacera ad Vostra Majesta”.

Nel 1490 furono restaurati, oltre al castello di Belvedere, anche quelli di Castrovillari, Corigliano Calabro e Pizzo Calabro.

Nelle foto sotto riportiamo sinotticamente le 4 lapidi con le rispettive iscrizioni:

IMPORTANTE: Con l’aiuto di queste foto è stato possibile ricostruire, dopo circa due secoli, l’intera iscrizione. VEDI la pagina dedicata a questa notizia cliccando qui e visita la pagina dedicata al castello CLICCANDO QUI.

Nel 1495, comunque, ritornano i Sanseverino (Berardino Sanseverino), che approfittano della grande confusione venutisi a creare dopo la morte di Ferdinando I e la calata in Italia del re di Francia Carlo VIII.

Nel 1504 inizia la dominazione spagnola con il re d’Aragona Ferdinando VII, ora anche re di Napoli. Belvedere, in questi anni, è in possesso della famiglia Giustiniani di Genova; poi, intorno al 1508, ritorna ai Sanseverino, che la manterranno fino al 1595.

Il secolo XVI è di grande fioritura per le attività agricole ed industriali calabresi: la cerealicoltura, la produzione dell’uva e del vino, la coltura dell’ulivo, del cotone e del riso, della canna da zucchero, e soprattutto della seta, sono tra le principali attività i cui prodotti vengono richiesti ed esportati in Italia e all’estero. Belvedere viene segnalata tra i maggiori centri di coltivazione della canna da zucchero e di produzione della pregiata seta e, più tardi, dell’uva passa.

Girolamo Marafioti, nella sua opera del 1601 (vedi bibliografia), così scrive: “…sono lodati di questo paese i vini, e gl’ogli, i fichi e’l bambagio, quivi si fa’ anchora perfettissimo zuccharo”.

Lorenzo Giustiniani, nella sua opera del 1797 (vedi bibliografia), riporta quanto segue: “…Appena vendono olio, fichi secchi, ed uve passe. Un tempo mi si dice, che ne smaltivano di quest’ultimo genere sino a 15000 cantara(*) agl’Inglesi, quando che in oggi non oltrepassano i 2000. Nel 1793 ne fecero un carico per Pietroburgo. La derrata dell’olio, che è molto buona, forma pure il massimo lor guadagno, che mandano in Livorno, Civitavecchia, Genova, ed anche in Napoli. Il vino anche è ottimo, e ne commerciano qualche poco per il Regno, la cui misura è la stessa di Napoli. L’olio per lo commercio interno si vende a pignatta, o litra, che è di once 96, e a’ forestieri vendesi a cantaro…….Non hanno boschi, e per conseguenza, né anche caccia di quadrupedi. Nella suddetta montagna raccolgono le legna da fuoco, e la neve, che vendesi a vilissimo prezzo nella stagione estiva.”

Il secolo XVI è da ricordare anche per la battaglia di Lepanto contro i Turchi che, come ai tempi dei Saraceni, assaltano e saccheggiano le coste italiane e soprattutto quelle calabresi. Una flotta italo-spagnola, capitanata da don Giovanni d’Austria va alla ricerca del nemico e presso Lepanto distrugge la flotta turca: è il 7 ottobre 1571. Alla battaglia di Lepanto si distingue per valore e saggezza Cecco Pisano di Belvedere, che combatte a fianco di Marcantonio Colonna.

Il Pisano ottiene come compenso la portolania di Siracusa, 3000 ducati annui per sé ed i suoi eredi ed il figlio cavaliere.

Nel 1622 Belvedere viene concessa da Filippo III (futuro re di Spagna) a Tiberio Carrafa, col titolo di principe. Nel 1738 il regno di Napoli e di Sicilia, ritorna indipendente sotto Carlo di Borbone. Alla fine del secolo Belvedere conta 4.594 abitanti, così come ci testimonia lo storico Francesco Sacco in una sua opera del 1795. Tra il 1806 e il 1815 vi è la dominazione francese del regno, con Giuseppe Bonaparte, prima, e Gioacchino Murat poi, dominazione che in Calabria trova forte opposizione. A Belvedere grande è l’ostilità verso i francesi, che assalgono la città e, dopo averla saccheggiata, pretendono anche una grossa somma in denaro. Dopo il breve periodo francese, ritornano i Borboni. A quel tempo principe di Belvedere è Vanden Einden Carrafa che mantiene la città fino al 1830 (che è l’anno della sua morte): egli è l’ultimo feudatario di Belvedere.

Gli anni che seguono sono anni di lotta e di eventi confusi che si concluderanno con l’occupazione della Calabria da parte di Garibaldi tra l’8 agosto e il 31 agosto 1860. Nell’ottobre di questo stesso anno, si tiene il plebiscito di annessione del napoletano al Piemonte: a Belvedere gli elettori sono 1023 (suffragio universale, ma da parte dei soli uomini), i votanti 1016, tutti per il sì. Conclusasi la II guerra mondiale e dopo la fine del fascismo in Italia, dal 10 marzo al 7 aprile 1946 si tengono le elezioni amministrative in 5722 comuni: a Belvedere le elezioni hanno luogo il 10 marzo, con la vittoria del partito della Democrazia Cristiana. Al referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno i belvederesi si esprimono a favore della Monarchia: 1812 contro i 1676 cittadini che votano a favore della Repubblica.

Maggioranze e sindaci dal 1946….

…..in costruzione…

(1): Il nome di AUSONI deriverebbe, secondo Tommasi Aceti (accademico cosentino e correttore della Stamperia Vaticana, vissuto nel XVIII secolo), da Aschenaz, figlio di Gomer, figlio di Jafet, figlio di Noè. Aschenaz, sbarcato nella costa orientale della Calabria, fondò una città che chiamò Aschena, che divenne poi Axena, da cui deriva Ausonia. “Ausoni o Itali, Ausonia o Italia, non da Ausone, figlio di Circe ed Ulisse, ma perché i sopraggiunti la dissero Italia, mentre gli abitanti la chiamavano Auxena”……

(2): Da Enotro che “567 anni prima della distruzione di Troia..” occupò la parte occidentale della Calabria (G. Barrio).

(*): Cantaro: usato per misurare la capacità di trasporto dei bastimenti, è pari a 150 libre, cioè circa Kg 50.

Pignatta o litra: equivale a 96 once, cioè Kg 2,880 circa.

BIBLIOGRAFIA

1) “MEMORIE E STUDI SULLA CITTA’ DI BELVEDERE MARITTIMO, DENOMINATA BLANDA DAGLI ANTICHI”, Vincenzo Nocito, Genova 1950

2) “BELVEDERE MARITTIMO”, Giuseppe Grisolia, Decollatura (CZ) 1980

3) “CALABRIA, GUIDA ARTISTICA E ARCHEOLOGICA”, Emilio Barillaro, Cosenza 1972

4) “GAB. BARRIUS FRANCICANUS DE ANTIQUITATE, ET SITU CALABRIAE”, Gabriele Barrio, Roma 1571

5) “CRONICHE ET ANTICHITA’ DI CALABRIA”, Girolamo Marafioti, Padova 1601

6) “DELLA CALABRIA ILLUSTRATA”, Giovanni Fiore, Napoli 1691

7) “DIZIONARIO ISTORICO-FISICO DEL REGNO DI NAPOLI”, Francesco Sacco, Napoli 1795

8) “DIZIONARIO GEOGRAFICO-RAGIONATO DEL REGNO DI NAPOLI”, Lorenzo Giustiniani, Napoli 1797

9) “UN EPISODIO DELLA GUERRA DE’ VESPRI SICILIANI NELLA CALABRIA”, Giovanni Amellino, Napoli 1892

10) “DEL SITO DI BLANDA, LAO E TEBE LUCANA”, Michele Lacava, Napoli 1891

11) “ITINERARI ATTRAVERSO I TREDICI COMUNI DELLA COMUNITA’ MONTANA DELLO APPENNINO PAOLANO”, Gaetano Vena, Cosenza 1981

12) “DIZIONARIO DEI LUOGHI DELLA CALABRIA”, vol.I, Gustavo Valente, 1973

13) “STORIA DELLE CALABRIE”, Ulderico Nisticò, Cosenza 1984

14) “LE CITTA’ MAGNOGRECHE DELLA CALABRIA”, Sergio Dragone, Calabria Economica 1996.

15) “ANTICHITA’ E SITO DELLA CITTA’ DI BELVEDERE”, manoscritto di Giuseppe Petrellis, Belvedere 1631